Farouk, Tarkovsky e la lotta per il cinema: un viaggio tra finzione e realtà
Un sogno tra Ramallah e Jaffa
In una Ramallah stretta tra storia e presente, un regista di nome Farouk si prepara a realizzare il film della sua vita. Farouk, 35 anni, ex allievo di una scuola russa di cinema e fervente appassionato dell’autore sovietico Andrei Tarkovsky, sogna di portare sul grande schermo “A Bridge to Jaffa”, un dramma storico su un combattente della resistenza palestinese. Ma la vita non gli facilita il compito: tra matrimoni da riprendere per sbarcare il lunario e la frustrazione di un sistema che non accoglie la sua visione, Farouk si sente sconfitto anche prima di cominciare.
Lotta per il finanziamento e un piano malandrino
Lo sforzo di Farouk per finanziare il suo film lo porta a una decisione audace: truffare uno dei ricchi commercianti di Ramallah. Il piano, però, prende una piega imprevista quando il regista si innamora della figlia dell’uomo. In questo scenario, il film “Dear Tarkovsky” si sviluppa mescolando commedia, dramma e amore, offrendo una riflessione amara ma coinvolgente sulla difficoltà di emergere come artista in un contesto socio-politico complesso.
Guarda il trailer di “Dear Tarkovsky” seguendo questo link.
La sfida di raccontare la propria storia
Riflessioni su “Alam” e sul cinema palestinese
Il regista Firas Khoury non è nuovo alle difficoltà di raccontare storie palestinesi autentiche. Il suo esordio, “Alam”, è una testimonianza vivida delle difficoltà che incontrano i filmmaker palestinesi. L’opera, vincitrice al Cairo Film Festival e acclamata al Toronto Film Festival, aveva già mostrato la tenacia e il talento di Khoury. “Alam” segue un gruppo di adolescenti palestinesi-israeliani in una rivolta simbolica per sostituire la bandiera israeliana con quella palestinese. Malgrado il successo, la realizzazione del film ha richiesto dieci anni, in gran parte a causa delle difficoltà di ottenere finanziamenti che non censurassero la narrativa palestinese.
Approfondisci la storia di “Alam” qui: Alam.
Il peso della narrativa imposta
In molte delle sue interviste, Khoury esprime un concetto potente: “I finanziamenti europei tendono a voler dipingere i palestinesi come vittime, ma senza raccontare l’intera storia”. Questo pensiero apre una ferita profonda: la narrativa imposta può essere tanto soffocante quanto la mancanza di risorse. “Ogni regista e sceneggiatore palestinese sa cosa non può scrivere per ottenere finanziamenti”, aggiunge Khoury, che con “Dear Tarkovsky” vuole sfidare queste restrizioni parlando di resistenza e della privazione della narrazione.
Produzione con visione internazionale
Una collaborazione multiculturale
“Dear Tarkovsky” è prodotto da Asma Chiboub per Atlas Vision di Tunisi, con la co-produzione dell’italiana Dugong Films (“The Girl in the Fountain”) e della svedese Fox in the Snow Films (“Costa Brava, Lebanon”). La produzione del film mostra un impegno internazionale per sostenere storie significative e autentiche.
Guarda il trailer di “The Girl in the Fountain” seguendo questo link.
Cinema come resistenza
La creatività in tempi di conflitto
Khoury ammette che il contesto politico e sociale odierno rende difficile concentrarsi sulla creatività. “In un luogo dove è in corso un genocidio aperto, tutto perde significato”, afferma il regista. Tuttavia, egli rimane fermo sul suo intento di fare cinema con una causa, sperando di usare i suoi film come strumento per ottenere libertà e per raccontare storie di occupazione e resistenza.
L’importanza di presentare il progetto
Un’opportunità al Durban FilmMart
Il Durban FilmMart ospita un’esposizione di cineasti palestinesi come parte della sua 15ª edizione dal 19 al 22 luglio. Per Khoury, questa è un’opportunità cruciale per presentare “Dear Tarkovsky” e trovare partner disposti a finanziare il suo progetto. Guardando al passato, Khoury riflette sull’importanza della solidarietà, citando Nelson Mandela: “Mi sto cercando chiunque possa sostenere la mia battaglia per raccontare questa storia”.
“Dear Tarkovsky” rappresenta molto più di un semplice film; è una dichiarazione di intenti, un grido per la libertà d’espressione e un tentativo di raccontare storie troppo spesso soffocate. La lotta di Farouk per realizzare il suo film diventa il simbolo della lotta di tanti artisti palestinesi che sognano di far sentire la propria voce in un mondo che spesso li silenzia.