La profondità dietro “Under the Bridge”: analisi e riflessioni sulla nuova miniserie
L’ossessione di Rebecca e la natura umana complessa
Nella nuova miniserie Hulu Under the Bridge (da noi su Disney+ dal 10 luglio, ndt), Riley Keough interpreta Rebecca Godfrey, una scrittrice che inizia a indagare sull’omicidio di Reena Virk, una ragazza di 14 anni brutalmente uccisa nel sobborgo canadese in cui Rebecca stessa è cresciuta. La serie si basa sul saggio di Godfrey del 2005, che ha ricevuto acclamazioni per la sua minuziosa attenzione ai dettagli e la profonda analisi dei giovani coinvolti nel caso. Tra uno scambio di punti di vista e intense riflessioni, Rebecca sfida il lettore a vedere oltre le azioni spregevoli di Warren Glowatski, uno degli accusati, e a interrogarsi sulla complessità dell’animo umano.
Il cast stellare e la storia raccontata attraverso molteplici prospettive
Rebecca Godfrey (Riley Keough), Reena Virk (Vritika Gupta), Warren Glowatski (Javon Walton) – sono tutti personaggi reali che interpretano ruoli cruciali nella narrazione di una storia che ha devastato le famiglie coinvolte. Il libro e la serie cercano di dare voce a ognuno dei protagonisti, esplorando le sfaccettature di una tragedia troppo complessa per essere vista da un solo punto di vista. Tuttavia, nel tentativo di coprire l’intera storia, la serie rischia di perdere l’intensità emotiva e la profondità del testo originale.
Il dilemma della trasposizione e il focus sulle figure principali
Una delle critiche principali rivolte alla miniserie risiede nella decisione di centrare la narrazione su Rebecca e la detective Cam Bentland (Lily Gladstone), piuttosto che sui ragazzi e le famiglie direttamente coinvolti nella tragedia. Mentre Keough e Gladstone portano performance magnetiche, la loro centralità tende a sminuire la complessità dei giovani personaggi che sono meramente abbozzati nello schermo.
Un parallelo con altre serie “fictionalizzate”
Questo spostamento di focus non è un fenomeno nuovo nelle serie basate su eventi reali. Simile a quanto accaduto con Inventing Anna su Netflix, dove l’attenzione si era spostata dalla truffatrice Anna Delvey alla giornalista che ha contribuito a renderla famosa, anche in Under the Bridge, la narrazione si allontana dalla vera essenza della storia. Questa scelta narrativa risulta a tratti punitiva, rendendo opaca la figura di Reena e gli altri adolescenti coinvolti.
Il dibattito sulla violenza adolescenziale e l’identità culturale
Uno degli elementi che emerge in Under the Bridge è la rappresentazione di come i giovani aggressori siano stati influenzati dalla cultura urbana afroamericana. La gang di Josephine Bell (Chloe Guidry), chiamata simbolicamente “Crip Mafia Cartel”, denota un’aspirazione al comportamento criminale ritratto nella musica rap, sebbene i suoi membri trattassero Reena e la sua amica nera Dusty (Aiyana Goodfellow) come cittadini di Serie B. Questo dettaglio mette in luce le dinamiche complicate relative all’identità culturale e la ricerca di appartenenza.
Una narrazione sfaccettata ma troppo estesa
Nonostante alcune intuizioni puntuali, Under the Bridge si rivela più efficace quando devia dagli eventi reali per esplorare le dinamiche umane. Tuttavia, l’eccessiva lunghezza della serie può rendere la visione difficile, più punitiva che illuminante. La promessa di una maggiore profondità rimane solo parzialmente realizzata.
Una riflessione finale
Come frequentemente accade con le trasposizioni di opere letterarie, il passaggio dal libro alla televisione rappresenta un’arte delicata. La miniserie Under the Bridge, sebbene offra ruoli di rilievo a Keough e Gladstone, rischia di tradire l’intensa narrazione e l’acume analitico del libro di Godfrey. La vera sfida rimane quella di mantenere intatta l’autenticità della storia mentre si cerca di renderla compatibile con il mezzo di comunicazione televisiva. Rebecca Godfrey avrebbe voluto che questa storia fosse raccontata con tutta la sua crudezza e complessità, e forse, in questo caso, il messaggio si perde nel mezzo.