Una riflessione intima su ‘Listen to the Voices’
La rappresentazione inedita della Guyana Francese
La Guyana Francese è raramente esplorata nei film, e quando lo è, di solito vengono mostrate le sue splendide paesaggi, giungle lussureggianti, coste spettacolari e le celebri miniere d’oro. Il regista Maxime Jean-Baptiste, con il suo nuovo film “Listen to the Voices” (“Kouté vwa”), presentato nella sezione Filmmakers of the Present al Locarno Film Festival e distribuito da MoreThan Films, ha evitato consapevolmente questi elementi visivi consueti.
Jean-Baptiste, discorrendo delle sue intenzioni nel rappresentare la Guyana, ha fatto riferimento a film d’avventura francesi anni ’70 come “Jean Galmot, Aventurier”, in cui suo padre appariva come comparsa. Gran parte del lavoro di Jean-Baptiste ha una qualità personale e familiare indiscutibile – nei suoi cortometraggi “Nou Voix” (2018) e “Moune Ô” (2021), così come nel co-diretto “Listen to the Bear of Our Images” (2021) insieme alla sorella Audrey Jean-Baptiste, che ha anche co-sceneggiato “Listen to the Voices”.
Una tragedia familiare come motore creativo
“Listen to the Voices” è profondamente radicato nella storia personale del regista. La tragica morte del cugino di Jean-Baptiste, Lucas Diomar, ucciso brutalmente nel 2012, ha lasciato una ferita indelebile nella sua famiglia. Melrick, il nipote tredicenne di Lucas, trascorre le vacanze estive dalla nonna in Guyana per sfuggire alla sua vita monotona a Stains, Parigi.
Nicole, la nonna attenta di Melrick, cerca di accettare la realtà dolorosa, mentre Yannick, traumatizzato testimone della morte del proprio amico, è bloccato nel tempo. “Come posso realizzare un film che possa aiutare a guarire queste ferite?”, si chiede Jean-Baptiste.
Un processo collaborativo e intimo
Il titolo originale del film – “Kouté vwa”, in creolo francese ‘Ascolta le voci’ – riassume perfettamente il programma poetico del film: una polifonia di testimonianze intrecciate.
La produzione del film è stata un processo collaborativo. “Ho chiesto loro: Come volete essere rappresentati? Abbiamo eliminato molte scene perché non si allineavano con le loro idee; è stato un processo collaborativo ed emotivo per tutti e tre gli attori, perché attraversano diverse fasi del lutto.”
Questo sforzo collettivo ha prodotto un mix avvincente di documentario e finzione. Paradossalmente, la finzione ha creato una distanza che ha facilitato la narrazione delle loro storie.
Nicole, ad esempio, non si sentiva a suo agio con il format documentaristico, quindi Jean-Baptiste e sua sorella Audrey hanno riscritto il copione per renderlo più simile a una storia di finzione.
Archivi e cinematicità
L’emozionante apertura di “Listen to the Voices” consiste in riprese rallentate di una parata in memoria di Lucas. “I miei precedenti film erano composti da materiali d’archivio che ho montato molto. Volevo rispettare questa estetica e trasferirla in un’esperienza cinematografica, ma anche fonderla con un approccio più naturale.”
In questa toccante scena, Nicole guida lungo un’autostrada con Melrick sul sedile posteriore. Ricorda un incontro inaspettato con uno dei responsabili della morte del figlio, e la sua intensa voglia di vendetta.
Colonialismo e violenza
La storia, che tratta di dolore e perdono, affronta anche le conseguenze persistenti del colonialismo, una violenza che non si può dimenticare. Questo aspetto è trattato con notevole sensibilità da Jean-Baptiste.
“Volevo che usassero le loro parole. Perché io ho le mie: dirò che i dipartimenti d’oltremare francesi sono colonie. Quando lo dico, alcuni concordano, altri no… Ad esempio, Nicole non lo dirà mai, e devo accettarlo.”
Una narrazione aperta
Sebbene “Listen to the Voices” sia concepito per aiutare i personaggi nel loro processo di lutto, il dolore non scompare alla fine – proprio come la violenza coloniale che è ancora presente. L’ambiguità del film risiede anche nella storia stessa: non sappiamo se Melrick resterà in Guyana o tornerà in Francia, né se la violenza si ripeterà.
“Listen to the Voices” offre una prospettiva complessa sulla vita in Guyana e sull’interazione tra passato e presente, rendendo evidente che i processi di guarigione vanno oltre il semplice tempo.