Nuove prospettive sul cinema horror: riuscirà “In Our Blood” a lasciare il segno nel 2024?
L’evoluzione del found-footage horror
Ogni anno o due, un nuovo film tenta di rivitalizzare il sottogenere horror found-footage, un terreno estremamente sfruttato sin dal debutto di “The Blair Witch Project” più di vent’anni fa. Per il 2024, “In Our Blood” cerca di ottenere quel riconoscimento, ma purtroppo non riesce a catturare completamente il premio. Nonostante una qualità di recitazione e una produzione superiori alla media del sottogenere, il lungometraggio narrativo di Pedro Kos, che esplora misteriose sparizioni a Las Cruces, New Mexico, finisce per deludere le aspettative con un finale che non soddisfa appieno.
Un inizio promettente ma con un ritmo irregolare
Emily (interpretata da Brittany O’Grady) si mette in viaggio dal sud-ovest di Los Angeles, accompagnata dal cameraman Danny (E.J. Bonilla). Il loro scopo è documentare un incontro emozionante: Emily, separata dalla madre a tredici anni, non la vede da dieci anni e ora sta tornando per incontrarla. Samantha (Alanna Ubach), l’ex tossicodipendente madre di Emily, cerca disperatamente di dimostrare di essere cambiata.
Il setting promette tanto, ma il film introduce i suoi elementi horror troppo tardi, quasi negli ultimi venti minuti, facendolo assomigliare più all’episodio pilota di una serie che a un film autonomo.
Il centro Hooper e i segreti nascosti
Il film trova il suo fulcro nel Hooper Center, un’organizzazione che si occupa delle popolazioni vulnerabili del condado desertico. Emily e Danny intervistano i residenti e scoprono sussurri di sparizioni e violenze. Samantha stessa rivela che una cara amica è recentemente scomparsa per poi essere trovata morta, suscitando timori che potrebbe essere lei la prossima.
L’ambiente del centro Hooper, con il suo mix di altruismo di facciata e segreti inquietanti, è intrigante. Ma ciò che inizia come un’investigazione ben fondata su premesse solide, si perde presto in una progressione disordinata che lascia troppe domande senza risposta.
Brevi analisi dei personaggi
I personaggi principali sono ben interpretati e hanno una dinamica interessante. Emily e Danny mantengono una relazione professionale, senza intromissioni romantiche nonostante i momenti di tensione che avrebbero potuto favorire una storyline più prevedibile.
Anche i personaggi secondari, come Bianca Comparato e Steven Klein, fanno buona impressione ma non riescono a svilupparsi appieno. La sensazione è quella di tante potenzialità inespresse, con personaggi che sembrano promettere molto ma danno poco.
Colpi di scena e conclusione
Il climax si presenta con due grandi colpi di scena. Il primo appare tuttavia già visto nel genere horror, mentre il secondo, con una nota di cospirazione in stile “Matrix”, arriva troppo tardivamente e in modo troppo limitato per avere l’impatto desiderato.
Il film, pur essendo a tratti sanguinoso e movimentato, non riesce a costruire un’atmosfera realmente cupa o a offrire sequenze spaventose. Girato prevalentemente alla luce del giorno, il tono visivo soffre della mancanza della classica ansia creata dall’oscurità.
Considerazioni finali
“In Our Blood” sembra un’occasione mancata. Mentre la cornice narrativa e l’ambientazione nel centro Hooper hanno un forte potenziale, il film non riesce a sfruttarle appieno. Invece di approfondire temi come l’homelessness, il film si dilunga in una trama sovrannaturale che non riesce a trovare un equilibrio.
Per chi fosse interessato a scoprire di più, ecco il link al trailer di “In Our Blood”: In Our Blood.
“Il mondo dell’horror found-footage continua a cercare la sua prossima grande uscita”, e forse la speranza non è ancora persa per future esplorazioni innovative che riusciranno a dare nuova linfa a questo genere così amato e al contempo sfidante.