Perché la guerra? La riflessione di Amos Gitai tra storia e attualità
Nel panorama cinematografico, Amos Gitai è un nome che evoca immediate associazioni con temi complessi e spesso tormentati. La sua ultima opera, Perché la guerra?, si pone come una sorta di manifesto filosofico che tenta di sviscerare il concetto di conflitto armato. Gitai non è nuovo a esplorazioni di questo tipo, come dimostrano i suoi film Una lettera a un amico a Gaza e West of the Jordan River. Tuttavia, questa nuova pellicola adotta un approccio sperimentale e metacinematografico che mira a sondare le profondità della disperazione e dell’impotenza umana di fronte alla guerra.
Un viaggio attraverso il tempo e le idee
Basato in parte sulla corrispondenza scritta tra Albert Einstein e Sigmund Freud, Perché la guerra? prende una piega inusuale per un film su un tema così specifico. Le scene girate in modalità teatrale, che rappresentano antiche battaglie (come la Prima Guerra Giudaico-Romana), conferiscono alla pellicola un’atmosfera quasi mistica. In questo contesto, Gitai sembra voler creare un percorso ardente per le sue riflessioni, anche se il metodo adottato potrebbe risultare troppo ampio per la tematica trattata.
Per saperne di più: Guarda il trailer di Perché la guerra?
La riflessione contemporanea attraverso il passato
L’inizio del film ci introduce nel cuore di Israele, con immagini di installazioni artistiche ispirate agli eventi del 7 ottobre e poster di ostaggi israeliani con il messaggio ”Portateli a casa”. Questo contesto contemporaneo si sovrappone al materiale storico, creando una dicotomia affascinante ma alquanto vaga per un film che vorrebbe essere specifico nelle sue interrogazioni sulla natura della guerra.
Personaggi storici e prospettive moderne
Nel corso della narrazione, seguendo l’attrice Irène Jacob che scrive una lettera a Gitai, ci troviamo immersi nei dialoghi tra Freud ed Einstein. La Jacob parla della paralisi emotiva derivante dal vivere la guerra come una serie di immagini televisive, una cornice narrativa che rispecchia probabilmente il punto di vista dello stesso Gitai. Tuttavia, questa scelta rischia di apparire come una giustificazione preventiva per la natura astratta e volutamente distante del film.
Mathieu Amalric interpreta un Freud pensoso e magnetico, mentre Micha Lescot nei panni di Einstein appare caricaturale e distaccato, fumando una pipa e fissando la telecamera con aria di sufficienza. La scelta di Lescot, seppur spiegata nel corso del film, risulta comunque destabilizzante per un’opera che vorrebbe trattare temi così seri.
Analisi filosofica e limiti narrativi
Il cuore del film risiede nelle lettere tra Freud ed Einstein, che si dimostrano più generali e filosofiche rispetto a una trattazione che un conflitto specifico, come quello tra Israele e Palestina, richiederebbe. Anche se gli interminabili primi piani su Amalric offrono un’eccellente esibizione attoriale, le parole di Freud su istinti comuni e interessi culturali rimangono soluzioni teoriche a problemi altrettanto teorici.
In trattare la guerra con un pennello così ampio, Gitai rischia di appiattire conflitti asimmetrici come quelli in atto, distorcendo la realtà geopolitica, storica e ideologica e riducendola a una mera questione di impulsi psicologici e aggressioni maschili.
Espressioni artistiche e contemplazioni
Con il progredire del film, la lamentazione sulla guerra assume varie forme: dalla partecipazione della Jacob a danze interpretative, a esibizioni musicali filmate contro una video installazione, reminiscente della versione teatrale di Una lettera a un amico a Gaza. Se l’impotenza di fronte alla guerra è il punto di vista dominante del film, raramente si sforza di oltrepassare tali vincoli, risultando in un’opera che dice poco con le sue parole e immagini.
Riflessioni sugli stili sperimentali
Gitai ha sempre avuto il coraggio di sperimentare con nuovi stili narrativi, anche se questo comporta rischi significativi. Perché la guerra? non fa eccezione, esplorando territori intellettuali e emotivi spesso trascurati nel cinema mainstream. È un’opera che, pur con i suoi difetti, invita lo spettatore a considerare le molteplici sfaccettature della guerra, non come un evento isolato, ma come un fenomeno complesso e pervasivo.
Approfondisci la riflessione artistica: Guarda il trailer ufficiale.
In definitiva, Perché la guerra? di Amos Gitai è un film che richiede pazienza e riflessione da parte del pubblico, ma offre in cambio una prospettiva unica e provocatoria sulla natura del conflitto umano.