Dal caos alla redenzione: la rinascita artistica di Zia Anger
Un inizio turbolento
Ogni anno, con la stagione dei festival cinematografici in pieno svolgimento, moltissimi film cercano una distribuzione per raggiungere un pubblico più ampio. Molti di questi film, però, non arrivano nemmeno a questo passo. È il caso di “Always All Ways, Anne Marie”, il primo film di Zia Anger prodotto nel 2010, che è stato respinto da tutti i festival a cui è stato sottoposto. Questo rappresenta un vicolo cieco che molti registi affrontano, ma è difficile non prenderlo sul personale.
La svolta verso il successo
Ora, più di un decennio dopo, Anger ha trasformato quel fallimento in un’opera di successo: “My First Film”. Questo nuovo film è una rivisitazione romanzata della produzione caotica di “Always All Ways” e riflette su come trovare la redenzione artistica in circostanze catastrofiche. L’ironia di riprendere la carriera cinematografica riflettendo sui propri insuccessi non è sfuggita ad Anger.
“Quando ho capito di avere questa storia, ho pensato: ‘Oh, ecco cosa si prova ad avere qualcosa che potrebbe realmente essere realizzato.’ Ho deciso di seguire quella strada,” dice Anger.
Un viaggio lungo e complesso
Il ritorno di Zia Anger è iniziato anni fa. Dopo aver trascorso gli anni 2010 dirigendo video musicali per artisti come Mitski e Beach House, Anger ha ideato una performance live, anch’essa intitolata “My First Film”. In questa performance, Anger rivedeva quel periodo turbolento della sua vita esibendosi al computer, mostrando varie finestre e inviando file al pubblico tramite AirDrop. Questa riorganizzazione dal vivo di materiale video non pubblicato, foto personali e narrazioni scritte ha attirato l’attenzione dei produttori dell’etichetta indipendente Memory, che hanno sostenuto il progetto portandolo in tour.
Un nuovo formato per un nuovo pubblico
Con l’inizio della pandemia di COVID-19, Anger ha adattato la performance a una presentazione in condivisione dello schermo, trasmettendola a spettatori remoti durante i periodi di lockdown. Nonostante il successo delle performance dal vivo, la prospettiva di trasformarle in un lungometraggio narrativo era ancora intimidatoria.
Guarda il trailer di “My First Film”
La complessità di un’opera personale
“My First Film”, ora disponibile in streaming su Mubi dopo una distribuzione in alcune città selezionate, vede Odessa Young nel ruolo di Vita: una versione romanzata di Zia Anger. Il film racconta l’entusiasmo artistico non qualificato di Vita per il suo film artigianale, che crolla tra drammi sentimentali, spirali di Adderall e una negligenza verso il benessere della sua troupe. Non sorprende che “My First Film” sia stato presentato al Copenhagen International Documentary Film Festival, nonostante sia un lungometraggio narrativo.
“Non pensavo di fare un documentario. Ma alla gente piacciono le etichette,” dice Anger. “Tutte queste categorie esistono per le sezioni dei video store online — come le righe di Netflix. Non ho mai pensato a quale categoria questo film appartenga mentre lo stavo realizzando.”
Una narrazione intrecciata
Girato in un turbinio vertiginoso dalla direttrice della fotografia Ashley Conner (anche lei rappresentata come un personaggio nella storia), “My First Film” ha un impatto psicologico profondo, reso ancora più intenso dall’inserimento di filmati domestici e dietro le quinte.
Il coraggio dell’autobiografia
L’inserimento di elementi autobiografici non è stato solo una scelta stilistica per Anger, ma una necessità narrativa.
“Tutto ciò che in questo film non faceva parte della narrazione live-action era presente per una ragione narrativa. Non era inteso come stile,” dice Anger. “Ho capito che sarebbe stato complicato e pericoloso. Ma alcune delle mie opere d’arte preferite sono incredibilmente personali. Ho pensato ad altri registi, autori e musicisti che mi piacciono davvero. Vivi solo una volta. Così… YOLO… È ridicolo. È come se fossimo nel 2015.”
La scelta dell’introduzione personale
Nel film, la prima apparizione di Anger avviene nei minuti iniziali, a differenza della performance live dove appariva solo alla fine. Questo ha un significato importante per l’autenticità e la comprensione del pubblico.
Il passaggio dai video musicali ai lungometraggi
Anger ha iniziato a dirigere video musicali durante il periodo in cui cercava di far accettare “Always All Ways, Anne Marie” ai festival cinematografici. Questo l’ha messa in contatto con persone con cui ha poi sviluppato importanti collaborazioni professionali.
Il lato oscuro dei video musicali
Nonostante le difficoltà economiche e di produzione che caratterizzano i video musicali, Anger ha trovato nel formato un’opportunità creativa unica. La sua esperienza con artisti come Angel Olsen e Jenny Hval ha rafforzato le sue capacità e le sue connessioni nel mondo artistico.
Ascolta la colonna sonora di “My First Film” su Music Beep
Riflettendo sulle critiche
Anger apprezza il feedback, riconoscendo che non tutti possono amare ogni aspetto del suo lavoro. Tuttavia, sottolinea l’importanza di rispettare il lavoro e la creatività altrui, anche quando le opinioni differiscono.
“Amo i feedback. Quando stavamo realizzando il film, ho raccolto appunti da chiunque fosse disposto a fornirli. Non sto realizzando questo film perché nessuno lo veda. Ma questo non significa che debba accettare ogni feedback.”
Conclusione del viaggio artistico
Il viaggio di Zia Anger da “Always All Ways, Anne Marie” a “My First Film” è stato segnato da sfide e riscoperte. Il suo percorso rappresenta un esempio ispiratore di come i fallimenti possano contribuire alla crescita artistica e personale, trasformando le difficoltà in opportunità di espressione creativa.
Per approfondire e vedere dove Zia Anger vi porterà con la sua narrazione unica, guarda il trailer di “My First Film” e immergiti nel mondo complesso e affascinante di questa regista audace.# “My First Film”: Un viaggio nel panorama cinematografico indipendente
La nascita di un documentario unico
La storia di “My First Film”, un documentario che ha trovato la propria strada a fatica nel mondo delle festival cinematografici, è il perfetto sfondo per esplorare le difficoltà e le gratificazioni del cinema indipendente. Il film, nato dall’ingenuità e dalla passione della sua creatrice, ha visto la luce della prima volta durante un festival di documentari a Copenhagen. Nonostante il rifiuto da parte di quattro importanti festival, la regista ha trovato forza nella sua determinazione, trasformando ciò che poteva essere una delusione in un trampolino di lancio.
Lo scontro con il mondo dei festival
Essere rifiutati da grandi festival può sembrare una battuta d’arresto insormontabile. La regista si è trovata di fronte a un dilemma esistenziale, combattendo tra le sue aspirazioni artistiche e la realtà di un sistema che spesso favorisce solo determinati tipi di lavori. La contemporaneità dell’uscita del film con la nascita del suo bambino simboleggia la capacità umana di adattarsi e di far fronte alle avversità, segnando un parallelo tra l’atto della creazione artistica e quello della vita stessa.
Il potere dei piccoli schermi
Nel contesto di un mondo cinematografico dominato da billboard giganti e campagne pubblicitarie imponenti, “My First Film” si è avventurato in una strada diversa. Il film ha sfruttato proiezioni itineranti ed eventi dal vivo, mettendo in luce come l’intimità e la rarità possono creare esperienze significative. In un’epoca in cui il cinema mainstream si scontra con sale semivuote, il documentario ha dimostrato che esistono modalità alternative per coinvolgere il pubblico.
Un aneddoto interessante riguarda il padre della regista, il quale racconta di essere stato l’unico spettatore di un film rivale in una sala vuota, commentando ironicamente la qualità discutibile dello stesso. Questo episodio sottolinea come la vecchia maniera di distribuzione cinematografica possa non funzionare più come un tempo, aprendo la strada a nuove forme di fruizione culturale.
L’importanza della comunità
Un elemento essenziale emerso dalle proiezioni live di “My First Film” è stata la riscoperta del valore della comunità. Durante il periodo della pandemia, quando il digitale sembrava infinite possibilità, la creazione di eventi con posti limitati ha reso l’esperienza del film qualcosa di intimo e prezioso. La partecipazione collettiva, sapere che altre persone stavano vivendo la stessa emozione contemporaneamente, ha elevato l’evento a qualcosa di sacro e irripetibile.
Il futuro del documentario
La regista esprime una preoccupazione personale riguardo alla sua etichettatura come “regista ibrido che crea lavori personali”. Dopo aver messo tanto di se stessa in questo progetto, sente di aver bisogno di nuove esperienze di vita per nutrire il prossimo capitolo della sua carriera. La speranza è di esplorare nuove storie con le quali connettersi a livello personale, ma che non siano direttamente autobiografiche. Questo desiderio di crescita e cambio si riflette nel pensiero di come la vita possa sempre influenzare l’arte, e viceversa.
Conclusioni (Riflessioni finali)
“My First Film” rappresenta un viaggio intenso e simbolico nel mondo del cinema indipendente. Di fronte ai rifiuti, la regista ha scelto una strada alternativa, dimostrando che i piccoli schermi, accompagnati da una comunità appassionata, possono offrire un’esperienza cinematografica unica e coinvolgente. Oltre al film stesso, la storia della sua creazione ispira gli artisti a rimanere fedeli alla loro visione, a perseverare di fronte alle avversità e a trovare nuove forme per esprimere le loro storie.
Per approfondire ulteriormente, puoi trovare il trailer di My First Film e scoprire di più su questa affascinante opera.
Parole chiave: My First Film, cinema indipendente, festival cinematografici, proiezioni itineranti, comunità, esperienza collettiva, determinazione artistica, narrazione personale.