Un viaggio enigmatico nel cinema argentino: “Uccidi il fantino”
Il percorso tortuoso di Luis Ortega
Le parole “Non è per noi” sono una realtà comune per chiunque abbia mai cercato finanziamenti per un film. Luis Ortega, regista argentino, non ha fatto eccezione quando ha presentato “Uccidi il fantino” (link). Nonostante Ortega avesse già lasciato un’impronta significativa nel cinema argentino con il suo debutto del 2003, “Caja Negra”, e il suo film candidato a Cannes nel 2019, “El Angel”, il suo ultimo progetto è stato considerato troppo esoterico da molti finanziatori.
Ortega stesso ammette: “Questo film non si presta bene a un pitch tradizionale”. E forse uno dei motivi per cui molti hanno esitato è legato anche al titolo originale previsto: “Cabeza de Piña” (testa d’ananas), ispirato a un uomo senza dimora di Buenos Aires noto per il suo aspetto eccentrico. Ortega ha infine compromesso sul titolo, ma ha mantenuto ferma la sua visione artistica.
Una premessa avvolta nel mistero
“Uccidi il fantino” racconta la storia di Remo Manfredini (interpretato da Nahuel Pérez Biscayart), un fantino la cui identità, già frammentata da traumi, droghe e alcol, subisce una serie di trasformazioni in seguito a un incidente durante una corsa e relativo trauma cranico. Il film esplora tematiche complesse relative all’identità e alla libertà personale attraverso un viaggio onirico che sfida la realtà concreta.
Secondo Ortega, “in qualche modo ogni personaggio è una prigione… bisogna uccidere ogni singolo personaggio per essere liberi.” Questa filosofia si rispecchia nella narrazione caleidoscopica del film, in cui ogni nuova identità rappresenta un tentativo di avvicinarsi alla verità su se stessi.
Riflessi di letteratura e realtà
Ortega ha trovato ispirazione nel libro meno noto di Jack London, “The Star Rover” (Il vagabondo delle stelle) del 1915. La storia segue Darrell Standing, un professore universitario incarcerato a vita che, attraverso il dolore causato da un dispositivo di compressione, entra in uno stato di trance e rivive alcune delle sue vite passate. Questa idea di immortalità e trasformazione ha profondamente influenzato la concezione del film di Ortega, creando un parallelo con la mutazione continua del personaggio di Manfredini.
“Non possono uccidere la mia immortalità, non importa quanto mi torturino”, è un concetto che Ortega crede si applichi anche al suo protagonista. Manfredini non è solo un fantino e un drogato, ma una donna, la madre di bambini di strada e molto altro. Ogni persona rappresenta una verità che potrebbe essere reale, proprio nel modo in cui Ortega concepisce l’identità come un ciclo magico di morte e rinascita.
Riconoscimento e risonanza internazionale
Nonostante le sfide iniziali, “Uccidi il fantino” ha trionfato, vincendo l’Horizons Award al San Sebastián International Film Festival e conquistando anche la platea al Venice International Film Festival. Questo successo è la testimonianza del potere di una visione artistica ben definita e della capacità di un regista di rimanere fedele alla sua narrazione, anche di fronte a ostacoli apparentemente insormontabili.
Protagonist Pictures ha assunto il compito di gestire le vendite al mercato internazionale del film (AFM), segnando un’altra pietra miliare per il cinema argentino e per la carriera di Ortega.
L’opera di Ortega rimane un potente promemoria che la creatività autentica e la narrazione coraggiosa possono aprire nuove strade in un settore spesso dominato da formule consolidate. “Uccidi il fantino” invita gli spettatori a riflettere su come le identità si costruiscano e deconstruiscono, rivelando che ogni nuova maschera che indossiamo potrebbe avvicinarci di un passo alla verità su chi siamo realmente.
Ogni viaggio cinematografico è unico, ma quello di Luis Ortega con “Uccidi il fantino” rappresenta un’impresa straordinariamente audace e una lezione di resilienza e fedeltà artistica.