L’arte del documentario secondo Nicolas Philibert
Un incontro speciale al festival di Amsterdam
Ignoranza e curiosità come chiavi di successo. Così si potrebbe riassumere l’approccio di Nicolas Philibert, acclamato regista francese noto per la sua abilità nel trasformare la quotidianità in opere cinematografiche di grande impatto. Durante un recente incontro al festival IDFA di Amsterdam, Philibert ha condiviso i suoi segreti dietro il processo creativo di film documentari come Essere e avere e Ad Vitam.
Il potere dell’ignoranza
Secondo Philibert, la preparazione può essere il nemico del buon documentario. “Quando l’intenzione è troppo evidente, diventa il nemico,” ha spiegato, riflettendo su una citazione di André S. Labarthe. Philibert preferisce mantenere un approccio minimalista, lasciando che l’ignoranza e la curiosità guidino la realizzazione dei suoi film. Questo metodo gli permette di esplorare il soggetto con un’autenticità e una freschezza che altrimenti sarebbero difficili da ottenere.
“Faccio i miei film dalla mia ignoranza, la mia curiosità, il mio desiderio e la mia paura. Se so troppo in anticipo, non voglio più fare il film perché faccio film per imparare,” ha confessato.
La filosofia del montaggio
L’importanza del montaggio nel processo creativo di Philibert è inoltre centrale. Ad esempio, nel film Essere e avere, vincitore del premio come miglior documentario agli European Film Awards, Philibert ha dichiarato di non aver saputo come il film iniziasse fino al momento del montaggio. Spesso lavora al contrario, sapendo come deve finire il film e strutturando il materiale retrospettivamente per raggiungere l’inizio.
Documentario o finzione?
Philibert non fa distinzioni nette tra documentario e finzione. “Tutto è finzione,” spiega. “Appena metti una telecamera da qualche parte, interpreti la realtà. Un documentario non è mai una copia della realtà, ma un’interpretazione. Rivela la verità.” Questa visione riflette una comprensione profonda del cinema come arte che non si limita a documentare, ma a interpretare e talvolta a trasformare la realtà.
L’importanza della dignità umana
Uno degli aspetti più toccanti del lavoro di Philibert è il suo impegno a rappresentare sempre i suoi soggetti nella loro dignità. Non cerca l’appeal emotivo facile, ma piuttosto mira a mostrare le persone in modo rispettoso e reale. “La dimensione politica del film è far sentire la dignità tra lo schermo e la sala,” ha dichiarato, citando Jean-Louis Comolli.
Responsabilità etica del regista
Un tema ricorrente nelle riflessioni di Philibert è la responsabilità etica del regista. Quando si filma qualcuno in situazioni vulnerabili, come in un ospedale psichiatrico in Averroès & Rosa Parks, il rispetto per la persona diventa fondamentale. “Fare un documentario consiste nel portare le persone dall’ombra alla luce, e quando il film è finito queste persone tornano alla loro vita quotidiana – all’ombra, in un certo senso. Quindi, cosa lasci loro? È una questione etica,” ha spiegato.
L’arte di non filmare
In un’epoca in cui il mondo è inondato di immagini dai social media e dalla televisione, Philibert difende la scelta di non filmare tutto. Sa quando è il momento di fermarsi, lasciando spazio al vuoto, alla riflessione e al desiderio nello spettatore. Questo approccio esclusivo distingue il suo lavoro dal flusso incessante di immagini banali che saturano la cultura visiva contemporanea.
Il significato del cinema
Philibert riflette anche sulla sua dedizione al cinema e la sua tendenza a limitare la produzione. “Quello che è importante per me nel cinema è incontrare gli altri, incontrare il mondo,” ha affermato. In un mondo spesso spaventoso e difficile, il cinema diventa un mezzo per comprendere meglio sé stessi e gli altri.
Un esempio emblematico: Nénette
Uno degli esempi più significativi della poetica di Philibert è il film Nénette, che racconta la vita di un’orangotango in uno zoo. Questo film esplora il concetto di osservazione come metafora del cinema. Attraverso lo schermo di vetro che separa Nénette dagli spettatori, Philibert riflette su come gli umani proiettino sé stessi nelle loro osservazioni.
“Guardare è sempre una proiezione. Nénette è uno schermo. Gli umani che sentiamo nel film parlano di lei e commentano quello che vedono, ma in realtà parlano di sé stessi.”
Questo approccio unico mostra come Philibert utilizzi il cinema non solo come mezzo di narrazione, ma come strumento di introspezione e comprensione umana.
La potenza delle parole
Philibert sostiene che il linguaggio sia centrale nel suo lavoro. “Le parole sono molto preziose per me, sono essenziali,” ha dichiarato. In un’era in cui i dibattiti televisivi sono frammentati e le parole sono spesso trascurate, Philibert valorizza il potere delle parole ben scelte e delle conversazioni autentiche.
Riflessioni finali
Philibert continua a lavorare fedelmente alla sua visione, rimanendo vicino al necessario e resistendo alla tentazione di produrre senza sosta. Il suo lavoro ci invita a riflettere sulla responsabilità del regista, l’importanza della dignità umana e il valore della curiosità ingenua. Con ogni film, Philibert non solo crea opere d’arte, ma fornisce strumenti di comprensione per affrontare la complessità del mondo che ci circonda.
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