Un viaggio di fede e comprensione tra le comunità di Brooklyn
Una sfida di fede e unità
Nella società odierna, la divisione tra differenti comunità etniche e religiose è una realtà tangibile e spesso dolorosa. “All God’s Children” ci trasporta proprio all’interno di queste dinamiche, seguendo due leader religiosi di Brooklyn, la rabbina Rachel Timoner e il reverendo Dr. Robert Waterman, nel loro tentativo di unificare le loro congregazioni, storicamente separate.
Un patto di amicizia tra una sinagoga e una chiesa
La rabbina Timoner, capo della Congregazione Beth Elohim, e il rev. Waterman, leader della Chiesa Battista di Antiochia, si imbarcano in un viaggio arduo ma pieno di speranza. Le loro rispettive istituzioni, sebbene distanti solo pochi chilometri, rappresentano due mondi apparentemente inconciliabili, segnati da storie profondamente diverse.
Link al trailer del film “All God’s Children”
Migrazioni e memorie storiche
La storia delle migrazioni della comunità nera e di quella ebraica verso Brooklyn viene toccata con mano attraverso il documentario. Immagini sconvolgenti dei pogrom, della schiavitù, dell’Olocausto e della Red Summer di Tulsa (che vide la distruzione della comunità nera) creano un ponte tra passato e presente, dimostrando come queste esperienze formative abbiano scolpito le identità e le relazioni delle due comunità.
Problemi contemporanei di giustizia sociale
Nel 2019, anno in cui comincia il documentario, molti residenti di Bedford-Stuyvesant, prevalentemente afroamericani, erano stati vittime del fenomeno del “deed theft”. Questa pratica predatoria permetteva a terzi di acquisire la proprietà di una casa senza che l’attuale proprietario ne fosse a conoscenza, per poi rivendere l’immobile e sfrattare gli abitanti originali. La rabbina Timoner e il rev. Waterman capirono che era necessario intervenire perché tra i perpetratori vi erano anche esponenti della comunità ebraica, aggravando ulteriormente le tensioni.
Sfide liturgiche e culturali
Il primo incontro tra le due congregazioni presso il Beth Elohim vide un’esibizione musicale dai visitatori di Antioch che incluse il sventolio di una bandiera con la scritta “Gesù.” Questo evento innocente, ai loro occhi, suscitò preoccupazione nel Beth Elohim, mettendo in luce le differenze culturali e liturgiche profonde. In seguito, entrambi i gruppi visitarono congiuntamente il Museo Nazionale di Storia e Cultura Afroamericana e il Museo dell’Olocausto a Washington D.C., cercando di trovare un terreno comune di comprensione.
Celebrazioni e incomprensioni
Durante la celebrazione della Pasqua presso Antioch, la rappresentazione teatrale della crocefissione e resurrezione di Cristo causò un notevole disagio tra i membri del Beth Elohim, evocando memorie dolorose di antisemitismo e accuse di “libello di sangue”.
La mediazione e la perseveranza
Per affrontare l’attrito crescente, venne chiamata una mediatrice esperta in discussioni su antisemitismo e razzismo. Arrivata da Kansas City, Missouri, facilitò diversi incontri per smorzare le tensioni. Tuttavia, il percorso non fu privo di ostacoli: il tentativo di avvicinamento delle due comunità evidenziò quanto possibilità e malintesi potessero coesistere.
Riflessioni finali
Il documentario ci porta a considerare se iniziare questo viaggio con l’intento di unificare la pratica religiosa fosse davvero il primo passo giusto. La rabbina Timoner riflette: ”Forse iniziare con l’adorazione congiunta è stato un errore.” Tuttavia, mentre il film si avvicina alla sua conclusione, arricchito dagli eventi globali come gli attacchi terroristici di Hamas e le risposte violente dell’esercito israeliano, diventa chiaro che l’affrontare attivamente questi problemi ha cementato comprensioni più profonde e sensibilità reciproche tra i partecipanti.
Il film risulta essere un’affermazione potente sulla necessità di dialogo interculturale e interreligioso, dimostrando che, nonostante le sfide, la ricerca del comune sentire può portare a una comprensione e collaborazione più profonde tra comunità diverse.