Un viaggio nella genesi di un album: “Saturn Return”
Un cumulo di cenere di sigaretta si posa su alcuni CD gettati su un tavolo in una stanza oscura, dove i membri della band Los Planetas lottano per creare tracce per il loro nuovo album. Questa immagine è più di un semplice segno di disordine: rappresenta un certo disprezzo anarchico per la musica come prodotto commerciale e profittevole. Per questo gruppo, la musica conta solo finché sgorga dalle loro ferite interiori e prende forma sotto l’influenza di droghe e dinamiche feroci.
La fusione di caos e creatività
Il capolavoro dei registi Isaki Lacuesta e Pol Rodríguez, “Saturn Return”, evoca cinematograficamente quel tumulto creativo e personale con una energia visiva frenetica e un’audacia formale che rifiuta di conformarsi a qualsiasi convenzione di sottogenere. Da questo spirito artistico inebriante emerge una delle biopic musicali più oneste e rinvigorenti degli ultimi anni, un’opera che non si preoccupa di sanificare l’immagine dei suoi soggetti profondamente difettosi mentre coinvolge gli spettatori nella loro battaglia autodistruttiva, poetica e alla fine redentrice contro i loro peggiori impulsi.
Un intreccio di realtà e fantasia
Il film mantiene i piedi dei personaggi (per lo più) ancorati a terra, dove vivono i veri terrori della loro creazione. Linearmente, accompagna gli spettatori da un tempo di grande finzione a una sessione di registrazione a New York negli anni ’90. “Saturn” non è affatto una storia di origine. Avere informazioni di background può rendere l’esperienza più ricca, ma arrivare alla festa senza contestualizzazione non ostacolerà come la sua atmosfera ti avvolge.
Struttura e narrativa non convenzionale
Costruito da un assortimento di vividi frammenti sconnessi, incubi e prove (o da “500 pezzi” come dice una delle canzoni del gruppo), “Saturn” è il ritratto di un atto musicale, o più precisamente di un’amicizia a tre, che subisce una morte per mille tagli mentre affrontano una difficile battaglia per ripetere il loro successo precedente. La narrazione, presentata non come un resoconto fattuale ma come leggenda intessuta di surrealismo basata su persone reali, trova la band subito dopo il trionfo del loro primo album e il fallimento del secondo. Il terzo album deve essere un successo, altrimenti saranno tagliati fuori dalla loro etichetta.
Il titolo del film in spagnolo, “Segundo premio”, fa riferimento al brano più importante del loro terzo album, “Una semana en el motor de un autobús”, che miracolosamente prende forma nel corso del tempo di durata del film.
Interpretazioni e personaggi
Non vengono usati nomi per la coppia di protagonisti. I titoli li elencano come “Il Cantante” e “Il Chitarrista”. Il cantante, con gli occhiali da sole, opera con una facciata di disinteresse e riservatezza emotiva. Nel frattempo, il chitarrista, dipendente dall’eroina, mostra un comportamento erratico che rivela una psiche più debole sotto pressione. Per Ibáñez e Cristalino, alla loro prima esperienza recitativa, l’impresa è ardua. Il loro legame sullo schermo non si basa tanto sul contatto fisico, e ancor meno sulla conversazione.
Narrazione e punto di vista
Per intercalare ciò che i due non riescono a dirsi faccia a faccia, Lacuesta e il co-sceneggiatore Fernando Navarro introducono una narrazione fuori campo sin dalle prime scene. Questo elemento non proviene da una sola fonte, ma da tutte le figure centrali che intervengono nel bromance amore/odio del duo principale. Con il maggiore spirito di osservazione, May, l’unico personaggio chiamato per nome e il terzo membro principale, che lascia Los Planetas proprio mentre il film inizia, offre le riflessioni più perspicaci.
Le sue osservazioni come donna che una volta è stata romantica con entrambi allo stesso tempo confermano l’incapacità maschile di esprimere i loro sentimenti ad alta voce, a meno che non siano velati in canzoni malinconiche. Alla fine, i testi delle canzoni appaiono sullo schermo, non solo come sottotitoli ma anche in spagnolo originale, come se i registi avessero ideato il film come un karaoke cinematografico.
La chimica complessa del duo
Mentre si cronache l’erosione del legame tra il cantante e il chitarrista, di cui non sappiamo nulla del passato, “Saturn Return” utilizza i versi delle loro composizioni come unico mezzo di accesso. Stanno fianco a fianco con tanto da confessare e ringraziare l’altro, eppure, come per incantesimo, le loro labbra diventano sigillate.
Un’immagine indimenticabile
Tutto culmina in una scena vicino alla fine, così insolitamente bella da diventare l’immagine definitoria di “Saturn Return”: le forme spettrali di questi due uomini sovrapposte, materializzando il concetto che un’amicizia costituisce un’anima condivisa divisa in due corpi. Non ci sono abbracci consolatori tanto meno discorsi, ma in quell’unica immagine, i registi confermano che se sono stati in grado di creare musica, è stato perché la facevano l’uno per l’altro, ogni canzone un gesto sonoro della loro reciproca, distorta, spesso velenosa devozione.