Il viaggio nel mondo onirico di “Kill the Jockey”
L’arte di raccontare l’inspiegabile
Luis Ortega, rinomato regista argentino, ha esplorato nuovi orizzonti con il suo ultimo film, “Kill the Jockey“, un’opera surreale e audace che esplora identità frammentate e trasformazioni personali. Sebbene Ortega abbia ottenuto riconoscimenti in ambito cinematografico sin dal suo debutto con “Caja Negra” nel 2003, la sua visione per “Kill the Jockey” è stata inizialmente respinta da molti finanziatori.
“Questo film non è presentabile,” ammette Ortega. “Nonostante il successo del mio lavoro precedente, ‘Kill the Jockey’ era considerato troppo esoterico.”
Un titolo controverso
Originariamente, il film aveva un titolo che rifletteva la sua ispirazione: “Cabeza de Piña”, in riferimento a un uomo senzatetto a Buenos Aires che indossava un bizzarro bendaggio a forma di ananas. “Sembrava meglio in spagnolo,” spiega Ortega, ma molti lo scoraggiarono a mantenere quel titolo, temendo che sarebbe stato impossibile proporre il film a un pubblico più ampio. Dopo aver cambiato il titolo, Ortega ha visto “Kill the Jockey” ricevere il premio Horizons al Festival Internazionale del Cinema di San Sebastián, lasciando a bocca aperta coloro che dubitavano del suo progetto.
La trama di Kill the Jockey
La storia segue Remo Manfredini, interpretato magistralmente da Nahuel Pérez Biscayart, un fantino la cui vita è sconvolta da un trauma cranico a seguito di un incidente durante una corsa. Nella sua lotta per la sopravvivenza, l’identità di Manfredini si trasforma continuamente, passando da un uomo a una donna, da un tossicodipendente a una madre di strada. Questo viaggio onirico sfida le convenzioni e indugia nelle zone grigie dell’identità e della coscienza.
“In un certo senso, ogni personaggio è una prigione,” riflette Ortega. “Non importa quale personaggio costruisci, resti intrappolato in qualche definizione di ciò che quel personaggio è. Credo che per essere davvero libero, devi uccidere ogni singolo tuo personaggio.”
Riflessioni sull’identità e trasformazione
Ortega ha trovato ispirazione in “The Star Rover” di Jack London, un romanzo del 1915 che esplora la vita interiore di un professore dell’università, Darrell Standing, che subisce terribili torture in prigione. “Standing prova un’estasi nell’esperienza del dolore,” osserva Ortega, “perché afferma che, indipendentemente dalla tortura, la sua immortalità non può essere soppressa.”
Questa idea si trasferisce nel personaggio di Manfredini, che, attraverso le sue varie identità, riesce a sperimentare tutte le possibilità della sua esistenza. “Non so se sono reali,” aggiunge Ortega, “ma sono vere, anche se solo per lui.”
Un mestro dell’arte cinematografica
Ortega continua a cimentarsi in progetti che spingono i confini della narrazione cinematografica. Il suo approccio unico e il suo rifiuto di compromettere la sua visione creativa lo rendono un autore influente nel panorama del cinema internazionale. Con “Kill the Jockey”, ha dimostrato che, nonostante le sfide iniziali, la determinazione artistica può portare a riconoscimenti significativi e a opere che lasciano un segno indelebile nella mente degli spettatori.
Per coloro che desiderano immergersi nel mondo complesso e affascinante di “Kill the Jockey”, il film rappresenta una testimonianza potente della resistenza dell’anima umana e della ricerca di significato in un mondo frammentato. Guarda il trailer e preparati a un’esperienza cinematografica che trascende i confini della realtà tradizionale!