In bilico tra passato e futuro: il delicato equilibrio di una famiglia
Il magnetismo della famiglia
Una famiglia è un ecosistema attento e spesso fragile. Alcune possono resistere a forti venti, mentre altre si sgretolano alla minima brezza. Nel film del regista Babak Khajehpasha, “Nell’abbraccio dell’albero,” una coppia che ha trascorso insieme più di dieci anni deve affrontare le conseguenze della loro decisione di divorziare, non solo sulle loro vite ma anche sul mondo ben tessuto che i loro due giovani figli hanno creato l’uno per l’altro. Sebbene sia un ritratto modesto di una famiglia isolata nella campagna iraniana, il film di Khajehpasha è carico di un’autenticità sentita.
La rottura di un equilibrio delicato
Kimia e Farid (interpretati da Maral Baniadam e Javad Ghamati) hanno deciso di porre fine al loro matrimonio. I due conducono già vite abbastanza indipendenti, divisi tra le varie attività che hanno costruito negli anni di matrimonio. Tuttavia, ciò che ancora li unisce sono i loro due giovani figli: Taha e Alisan (Ahoura Lotfi e Rayan Lotfi). I fratelli funzionano quasi come un’unità singola, con Taha troppo felice di svolgere il ruolo di fratello maggiore per il giovane Alisan. Sono il tipo di fratelli che sembrano inseparabili, giocando insieme nei campi e poi riposando nello stesso letto, come se fossero sincronizzati nei bisogni di qualsiasi giorno.
Il dramma nascosto dietro le decisioni
Con il progredire dei piani di Kimia per separarsi definitivamente da Farid, diventa chiaro che anche i due fratelli dovranno essere separati. Tuttavia, nessuno dei genitori riesce a trovare il coraggio di dare la notizia ai ragazzi, che trascorrono invece le loro giornate sotto la custodia dello zio Reza (Rouhollah Zamani), un giovane innamorato e non proprio responsabile. Reza adora chiaramente i ragazzi, prendendo spunto dalla loro visione ingenua del mondo. Tuttavia, trova anche modi per sfruttarli e guadagnare qualche soldo extra. Questo è ciò che fa un giorno quando li coinvolge in un gioco pericoloso: chi resterà più a lungo sui binari del treno mentre un convoglio sta per arrivare?
L’ombra del pericolo e la fragilità dell’innocenza
Come molti momenti in “Nell’abbraccio dell’albero,” quella scena particolare si basa su una minaccia incombente. È la sensazione che qualcosa di terribile possa accadere se i ragazzi e chi li circonda non stanno abbastanza attenti. Il divorzio, ovviamente, e la separazione che ne deriva, pongono una minaccia propria, ma la sceneggiatura di Khajehpasha cerca di darle un pericolo viscerale. La paura che il mondo accuratamente costruito di Taha e Alisan possa crollare, e che le loro stesse vite possano essere in pericolo, è ciò che alla fine avvolge l’ultima parte di questo film. La tragedia colpisce e le conseguenze preparano il terreno per Khajehpasha di tessere un appello umanista alla speranza, utilizzando i due giovani fratelli come veicoli per esaltare il valore di genitori che si preoccupano e che faranno di tutto per assicurarsi che i loro figli tornino sani e salvi.
Una narrativa immersa nella natura
Girato principalmente all’aperto, in fattorie ittiche e campi di fiori, in strade affollate e mercati caotici, e spesso attorno agli alberi a cui il titolo fa riferimento, il film di Khajehpasha è immerso nella natura. Lunghe riprese privilegiano la luce scintillante, mettendoci spesso nella testa innocente di Taha e Alisan. Il film immagina un’innocenza incontaminata nel loro modo di essere nel mondo. E la disruptione di quella piacevole ingenuità scuote il film in un melodramma più accelerato, dove il segreto di Kimia (la radice, sembra, della fobia che ha creato una distanza tra lei e Farid) esplode il dramma familiare gentile che Khajehpasha sta dipingendo.
La ricerca di una delicatezza rasserenante
La gentilezza che il film cattura è forse eccessivamente tranquillizzante. Non stucchevole, ma chiaramente progettata per essere inoffensiva: chi vorrebbe, dopo tutto, danneggiare questi ragazzi, questa famiglia, questa comunità? Sottolineando la centralità di una famiglia fratturata (e forse rimessa insieme), “Nell’abbraccio dell’albero” è sentimentalista fino a un punto di difetto. Al 41º Festival Internazionale del Cinema Fajr a Teheran, l’attore-diventato-regista Khajehpasha ha vinto premi per la miglior sceneggiatura, miglior regista e miglior primo film, preparando questo modesto dramma familiare a diventare la sottomissione del paese per la corsa agli Oscar come miglior film internazionale. C’è bellezza e un grande occhio per le interpretazioni fondate (non solo i bambini; Baniadam brilla come madre che si disgrega per paure che non riesce a tenere a bada), ma questa storia domestica iraniana offre poco più di frasi trite e ritrite.