Un viaggio introspettivo nel passato: The Hungarian Dressmaker
Tra memorie e inquietudini: un ritratto insolitamente moderno
“The Hungarian Dressmaker”, adattamento affascinante di Iveta Grófová dal romanzo di Peter Krištúfek “Emma and the Death’s Head”, ci porta nella Slovacchia della Seconda Guerra Mondiale. In questo contesto storico, la popolazione locale doveva navigare attraverso le ombre dell’autoritarismo, con l’ascesa al potere del Partito Popolare Slovacco Hlinka, supportato dai nazisti. Nonostante il direttore della fotografia Martin Štrba abbia scelto talvolta di allontanare la telecamera dal cavalletto per girare con la libertà generalmente riservata ai film più recenti di Terrence Malick, questo pezzo d’epoca appare sorprendentemente attuale nel suo ritratto di una società governata dalla paura.
Al centro della narrazione troviamo scelte individuali cruciali, con una protagonista costretta a bilanciare il proprio senso di sicurezza personale contro ciò che può contribuire al bene comune.
Sopravvivenza e autodifesa: l’evoluzione interiore di Marika
Anche se Krištúfek aveva originariamente previsto una storia di sopravvivenza, Grófová dimostra una chiara consapevolezza che seguire strettamente il materiale originale avrebbe potuto portare a un film più convenzionale. La protagonista, Marika (interpretata da Alexandra Borbély), è incaricata di nascondere un giovane ragazzo ebreo di nome Šimon (Nico Klimek) per risparmiarlo da un destino tragico. Tuttavia, la regista preferisce concentrarsi sulla preservazione psicologica di Marika, quando non può più essere la persona che era una volta, né mantenere gli stessi valori di un tempo.
Un nuovo inizio in un vecchio villaggio
Costretta a lasciare la città per paura di una maggiore presenza nazista, Marika si trasferisce in un villaggio vicino al confine slovacco-ungherese. Qui, si sistema in una casa fatiscente appartenuta al suo defunto marito e si prende cura di Šimon. La pazienza con il ragazzo è limitata, e benché Marika finga di essere sua madre per garantirgli sicurezza, adotta un tono acuto con lui in privato. All’arrivo nel villaggio di Biskupice, Šimon è subito costretto a nascondersi quando la Guardia Hlinka viene a confiscare i beni di valore.
La pericolosità dell’immaginazione e del compromesso morale
Grófová fa affidamento non tanto sui pericoli evidenti, ma su quanto possa essere pericolosa l’immaginazione. Marika prende misure sconfortanti per proteggersi, come costringere Šimon a dormire con i maiali per mantenere la propria sanità mentale. La protagonista cede anche alle avance di Dusan (Milan Ondrík), un membro della Guardia Hlinka che frequenta la sua casa, più per il bisogno di compagnia fisica che per la protezione che l’uomo può offrirle. Altri avrebbero potuto esprimere questi dilemmi morali con notti insonni, ma Grófová li fa pesare sul volto di Borbély, che interpreta Marika con una stoica determinazione.
Dilemmi morali e responsabilità collettiva
Mentre il film si concentra su ciò che orbita intorno a Marika, questi stessi dilemmi si propagano nella comunità di cui fa parte. La Guardia Slovacca agisce con impunità, ma la loro autorità appare meno potente quando viene messa in discussione, lasciando i residenti a fare i conti solo con la propria coscienza.
Grófová sfrutta l’ambientazione storica della breve vita della Prima Repubblica Slovacca, resa indipendente grazie al suo supporto a favore della Germania nazista, per esporre le lacune tanto delle guardie quanto delle persone che dovevano sorvegliare. Sebbene implacabile nella sua visione di Marika e dei dilemmi a cui è confrontata, il film non risparmia gli spettatori. Le difficili decisioni che lei è costretta a prendere non sembrano distanti né storicamente né emotivamente.
Uno sguardo ai dettagli tecnici: compentenze e tecniche
La competenza tecnica si riflette nelle scelte di cinematografia di Martin Štrba, che spesso adotta angolazioni e movimenti di macchina che intensificano la claustrofobia del contesto. La scelta di non enfatizzare eccessivamente i pericoli visibili, ma piuttosto quelli interni, dimostra una padronanza del mezzo cinematografico e una comprensione profonda dei meccanismi della psicologia umana. L’interpretazione di Alexandra Borbély, con il suo volto che riflette una gamma complessa di emozioni senza sovraccarico verbale, mette in luce una sottigliezza e una profondità raramente viste nei film di guerra convenzionali.
In definitiva, The Hungarian Dressmaker non è solo un viaggio nel tempo, ma una narrazione che ci sfida a riflettere sulle nostre stesse scelte etiche e morali, rendendoci consapevoli di quanto la storia possa essere un riflesso del nostro presente.