La rivelazione argentina di “Kill the Jockey”
Un viaggio senza freni tra vulnerabilità e introspezione
Immergersi nel mondo del cinema significa spesso abbandonarsi a realtà alternative, trovando al contempo riflessioni su aspetti profondi della condizione umana. “Kill the Jockey” del regista argentino Luis Ortega, rappresenta perfettamente questo equilibrio instabile. Con la sua ottava pellicola, Ortega esplora con audacia i temi della identità personale e della fragilità umana, mescolando sapientemente elementi di commedia frenetica e noir da gangster. L’anima del film è incarnata da Remo Manfredini, un celebre fantino la cui carriera e vita privata sono messe a dura prova da eventi tanto bizzarri quanto pericolosi.
La carriera di Remo: tra gloria e decadimento
Remo Manfredini, interpretato con talento da Nahuel Pérez Biscayart, è un campione sui circuiti ippici. Tuttavia, la sua vita conosce una drammatica svolta quando un incidente durante una corsa cruciale lo manda in ospedale. Qui la sua identità inizia a disgregarsi, come se la separazione dal cavallo conducesse anche a una frattura del suo io più profondo.
Questa crisi esistenziale offre a Ortega un pretesto per esplorare i limiti della identità di genere e la malleabilità del sé. La narrazione di “Kill the Jockey” si snoda tra vari generi cinematografici, toccando con delicatezza il tema della fluidità e della trasformazione personale. Le performance di Ursula Corberó, nei panni della compagna di Remo, Abril, e di Daniel Gimenez Cacho, nei panni del boss Sirena, arricchiscono ulteriormente la trama con una profondità emotiva rara.
Gli influssi stilistici e narrativi
Le combinazioni stilistiche di Ortega sono evidenti nelle influenze di Pedro Almodóvar e Aki Kaurismäki, che traspaiono attraverso l’uso di una fotografia vibrante e umorismo surreale. Il direttore della fotografia Timo Salminen adotta uno stile visivo che traduce in immagini il carattere inquieto e frammentato di Remo.
La scena di apertura, semi-surreale e volutamente disorientante, ci introduce immediatamente nel mondo caotico di Remo. In un bar squallido di Buenos Aires, tra personaggi eccentrici e mafiosi armati di fruste, il nostro protagonista emerge come un anti-eroe già sconfitto dalla sua dipendenza dall’alcool e dalle droghe.
La trasformazione di Remo
Nonostante le forze che vogliono riportarlo sulla retta via, Remo non sembra desiderare alcun cambiamento. Il punto di svolta arriva quando, durante una corsa decisiva, il suo cavallo, in un atto di ribellione naturale, scappa dai recinti e causa un incidente devastante. Remo viene ricoverato in ospedale con ferite apparse terminali, ma qui inizia la parte più intrigante e onirica del film.
Rifugiatosi in un altro paziente, Remo adotta una nuova identità, vestendo i panni di qualcuno che non riconosce più se stesso. Questo percorso di trasformazione, che include sondaggi intuitivi con il trucco e un cambio completo di genere, enfatizza il messaggio del film sulla pluralità dei sé che possiamo contenere.
La performance di Nahuel Pérez Biscayart
È la fisicità e l’apparente leggerezza di Nahuel Pérez Biscayart a dare cuore al film. Il suo Remo è un personaggio intrinsecamente tragico con un tocco di comicità slapstick, reminiscenti del cinema di Buster Keaton. La sua presenza eterea crea un contrasto vivace con i costumi e le ambientazioni create da Beatriz Di Benedetto, che arricchiscono la trasformazione di Remo in modo visivo.
“Kill the Jockey”: una riflessione sui temi della metamorfosi personale
“Kill the Jockey” è un esperimento cinematografico audace che sfida il pubblico a vedere oltre la superficie dei personaggi. Ortega non offre una lettura univoca del film; piuttosto, invita a una riflessione sul numero di identità che possiamo abitare. È un film che, con la sua energia comica e malinconica, suggerisce che forse la stabilità non è sempre necessaria, e che il cambiamento, seppur caotico, è una parte integrante della nostra esperienza umana.
Sperimentare con i limiti della percezione e del sé, Ortega, permette allo spettatore di trovare la propria interpretazione, rendendo “Kill the Jockey” una pellicola affascinante per chi ama esplorare le profondità della psiche umana e le sue infinite possibilità.