Un’analisi approfondita de “La Fine”: un approccio radicale al cinema post-apocalittico
Joshua Oppenheimer, già noto per aver rivoluzionato il genere documentaristico con “The Act of Killing”, torna con un’opera di narrativa non meno straordinaria, sfidando le convenzioni cinematografiche con “La Fine”, un musical post-apocalittico ambientato in un bunker sotterraneo.
Un musical atipico carico di arte e riflessione
“La Fine” è ambientato in un mondo post-apocalittico in cui un’élite di persone ha accumulato opere d’arte e vini pregiati, rifugiandosi in un bunker per sfuggire a una catastrofe che, ironicamente, potrebbero aver causato loro stessi. Il film si ispira a un documentario che Oppenheimer stava sviluppando su una ”famiglia molto ricca e molto pericolosa” ma ha poi deviato radicalmente.
Un’opera non convenzionale
Con una durata di 148 minuti e la mancanza di conflitti avvincenti, “La Fine” non si rivolge alle sensibilità del grande pubblico. Oppenheimer si concentra invece su una riflessione seria sulla colpa e la capacità umana di razionalizzare i propri misfatti. Nonostante il progetto sia stato concepito prima della pandemia di COVID-19, risulta difficile ignorare la saturazione del pubblico verso storie claustrofobiche.
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Il cast e la visione artistica
La storia inizia con un 20enne (George MacKay) che non ricorda la vita prima del lockdown. Vive in un bunker con i suoi genitori (interpretati da Tilda Swinton e Michael Shannon) che hanno reiterato per decenni la loro versione auto-indulgente degli eventi. MacKay interpreta il “Figlio”, nato nel rifugio e all’oscuro della realtà esterna, mentre sua madre, ex ballerina del Bolshoi, e suo padre, un magnate dell’energia, negano la responsabilità per la distruzione del mondo.
Oltre ai genitori, il rifugio ospita un piccolo gruppo di servitori, tra cui un medico personale (Lennie James) e un maggiordomo (Tim McInnerny), che rafforzano il senso di isolamento e bizzarro formalismo di questa società decadente.
Interpretazioni e canzoni che sfidano le aspettative
Nonostante “La Fine” sia definito un musical, i numeri musicali sono sorprendentemente pochi e carichi di malinconia, contribuendo alla tonalità generale dell’opera. La colonna sonora è composta da brani originali scritti da Oppenheimer e musicati da Joshua Schmidt.
Una nota particolare merita il personaggio di “Figlio”, che con un diorama inaccurato e canzonette da sirenetta di Disney, sogna ingenuamente la vita di superficie. La scena iniziale, “A Perfect Morning”, è un dolce momento, nonostante la voce di MacKay non sembri formata per il canto, suggerendo forse una scelta voluta dal regista.
La svolta narrativa: l’arrivo dell’estranea
La monotonia del rifugio è spezzata dall’arrivo della “Ragazza” (Moses Ingram), la cui presenza scatena una serie di emozioni e riflessioni all’interno del gruppo. La sua colpa per aver abbandonato la famiglia e la domanda del figlio sulla natura della loro chiusura sconvolgono la fragile stabilità della comunità.
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Temi attuali e domande senza risposta
Oppenheimer utilizza l’opera per esplorare temi di giustificazione morale e ribellione generazionale, simili alle tensioni reali tra le generazioni odierne. La decisione della madre di non accogliere gli estranei e le cicatrici del maggiordomo ricordano le barriere che questa élite aveva eretto per proteggere il proprio privilegio.
L’estetica e il design del bunker
Con l’aiuto della scenografa Jette Lehmann, Oppenheimer dipinge un bunker elegante e desolato, sepolto in una miniera di sale ma costruito per il comfort. Questo rifugio riflette tanto la paranoia quanto l’arroganza dei suoi abitanti, simile all’estetica vista in opere come “A Murder at the End of the World”.
Critiche e le prospettive future
“La Fine” non è destinato a piacere a tutti: sarà probabilmente celebrato da coloro che apprezzano i rischi artistici, ma potrebbe risultare un flop commerciale. Tuttavia, la coraggiosa visione di Oppenheimer e dei suoi finanziatori merita apprezzamento, anche se la sua rappresentazione di una particolare follia si avvicina troppo alla pazzia stessa.
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Riflessioni finali
Lo scopo di “La Fine” sembra essere quello di sfidare le aspettative, proponendo un’esperienza unica che interroga il valore della preparazione all’apocalisse piuttosto che la sua prevenzione. Il risultato è un’opera difficile da categorizzare, che si fa strada come un messaggio apparentemente arcano, in attesa di essere scoperto dagli spettatori più curiosi e audaci.