Il lato oscuro di Nizza in “In The Name Of Blood”
Quando pensiamo a Nizza, immaginiamo subito il glamour delle Palms e delle auto di lusso, ma “In The Name Of Blood” ci mostra una realtà molto diversa. Il regista Akaki Popkhadze svela i contrasti di questa città nella sua prima opera, presentata nella sezione New Director del Festival di San Sebastian. Questo film non è solo un thriller, ma un’esplorazione profonda delle dinamiche sociali e familiari attraverso una storia di violenza e fede.
Una città di contrasti
“Nizza è una città dove ricchi e poveri vivono fianco a fianco,” commenta Popkhadze. “I quartieri poveri sono a pochi minuti di tram dal centro.” E questa vicinanza crea una dinamica unica e complessa. Nizza offre un mix disorientante: palme, paesaggi belli, casinò e turisti, tutto questo circonda chi lotta per sopravvivere. Questo ambiente contraddittorio è perfettamente catturato nella scena di apertura del film, che passa da una pittoresca vista della baia a una rete metallica che delimita case popolari e l’autostrada.
Trama e personaggi complessi
Il film ruota intorno all’omicidio di un membro della comunità georgiana locale, scambiato per il suo capo, un oligarca russo. Suo figlio, Tristan (interpretato da Florent Hill), sogna di diventare un prete ortodosso e si trova improvvisamente solo con sua madre in lutto. Nell’agitazione si inserisce Gabriel (interpretato da Nicolas Duvauchelle), fratello maggiore dal passato turbolento. Spinti dall’onore e dalla vendetta, i due fratelli entrano nel mondo criminale di Nizza, gravitati verso un boss locale interpretato da Denis Lavant.
Una storia di fede e famiglia
Ciò che distingue questo film dai tradizionali thriller criminali è l’intrecciarsi della fede e della famiglia. La madre, Catherine, interpretata da Ia Shugliashvili, desidera ardentemente che i suoi figli si riconcilino e vivano bene. Le sue speranze e preghiere aggiungono una dimensione emozionale al film, sollevandolo dalla semplice struttura del genere criminale.
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Un’analisi visiva immersiva
Il direttore della fotografia, Justin Vaudaux, ha scelto di utilizzare solo due lenti: un 8mm e un 12mm su un sensore Super35, il che amplifica l’effetto immersivo, avvicinando lo spettatore ai personaggi e integrandoli completamente nell’ambiente. Questa scelta stilistica è perfetta per esprimere il tumulto interno dei personaggi.
Esperienze di vita reale che informano il film
La storia del film si ispira direttamente all’esperienza del regista con la violenza e la fede, rappresentata attraverso i tre personaggi principali: la fede per Tristan, la violenza per Gabriel e la famiglia per Catherine. Popkhadze racconta di come, avendo vissuto tra violenza e religione, abbia voluto portare questa dualità nel suo film.
Integrità artistica e tecniche audaci
Popkhadze e Vaudaux hanno fatto scelte tecniche audaci, optando per lenti molto corte e movimenti di macchina fluidi. Questo metodo permette al regista di avvicinarsi molto agli attori, intrudere nella loro intimità e rivelare le loro anime sullo schermo.
Movimenti e azione
L’uso costante del movimento, sia con la macchina da presa a mano sia con la steadicam, e il gioco angolare della linea orizzontale creano un effetto di instabilità, riflettendo il tumulto interno dei personaggi. Questo modo di filmare, influenzato dal judo praticato dal regista, permette una connessione fisica ed emotiva tra i fratelli.
Riflettono le influenze di Popkhadze
Il film ha influenze chiare dal lavoro di James Gray, specialmente per quanto riguarda le tematiche di immigrazione, crisi familiari e crimine. La madre dei protagonisti, nonostante il suo ruolo secondario, ha un’influenza profonda sulla storia e sulla relazione tra i suoi figli. Popkhadze ha un forte attaccamento al lato oscuro della vita e questo traspare nel suo modo di raccontare.
“In The Name Of Blood” non è solo un film di debutto, ma un complesso thriller multilivello che esplora i duri contrasti della vita. È un’opera che merita una visione e riflessione.
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