“Monsters: The Lyle and Erik Menendez Story” – Un Viaggio Ominoso nel Crimine
La serie “Monsters: The Lyle and Erik Menendez Story” propone un racconto inquietante di un noto crimine. Creata da Ryan Murphy e Ian Brennan, questa produzione rappresenta il secondo capitolo dell’antologia “Monster” di Netflix. Segue la vicenda dei fratelli Lyle (interpretato in modo straordinario da Nicholas Alexander Chavez) ed Erik (un eccezionale Cooper Koch), che dopo aver subito abusi emotivi, fisici e sessuali — come sostiene la serie — da parte del padre, José (Javier Bardem) e della madre, Kitty (Chloë Sevigny), uccidono i genitori a sangue freddo.
Una storia di traumi ed eccessi
Mentre la serie esamina l’infanzia dei fratelli, gli omicidi e tutto ciò che ne segue, risulta spesso lunga e sfiancante. Pur cercando di scandagliare le circostanze che portarono al crimine, evidenziando i traumi di Erik e Lyle, la narrazione appare in definitiva futile e stravagante.
Introduzione agli eventi
La serie inizia nell’ottobre 1989, due mesi dopo la morte di Kitty e José. A bordo di una limousine, con in sottofondo “Songbird” di Kenny G alla radio, Lyle ed Erik si dirigono al servizio commemorativo dei genitori. Lyle, il fratello maggiore, sembra controllato e impassibile, mentre Erik scoppia improvvisamente a piangere in modo incontrollabile. Questa scena riesce subito a delineare il carattere dei due uomini: uno emotivo e sensibile, e l’altro teso e pieno di rabbia.
La discesa verso il parricidio
Alternando momenti del passato e del presente, la narrazione ripercorre il regno del terrore che permeava la casa dei Menendez, portando i fratelli al parricidio. Bardem è terrificante e ripugnante come José, mentre Sevigny interpreta una donna compassionevole e patetica.
Dettagli crudi
Gli omicidi sono rappresentati in modo altamente grafico e cruento, e la trama racconta vari errori delle forze dell’ordine, che inizialmente permettono ai fratelli di evitare sospetti. Nei mesi successivi agli omicidi, con Erik profondamente suicida e tormentato dalle immagini dei genitori morti, confessa tutto al suo terapista, Dr. Jerome Oziel (Dallas Roberts), portando infine all’arresto suo e di Lyle. Leslie Grossman è perfetta nel ruolo di Judalon Smyth, ex paziente e amante di Dr. Oziel, che gioca un ruolo cruciale nell’arresto e nel processo del 1993 dei fratelli.
Un episodio eccellente nel caos
La prima metà di “Monsters” è eccellente, ma il quinto episodio, “The Hurt Man”, è il più riuscito. Sebbene l’abuso sessuale non venga mostrato esplicitamente, Erik racconta in dettaglio allo stato avvocato Leslie il ciclo di stupro e abuso subito da parte del padre. L’episodio è girato in un’unica lunga ripresa, con la telecamera che si avvicina lentamente al volto di Erik.
La caduta verso il caos
Purtroppo, dopo il quinto episodio, la serie scivola nella confusione. Il tono, che oscilla tra l’ominosa serietà e il leggero camp, crolla su sé stesso, rendendo le restanti puntate ripetitive e noiose.
Episode 6, “Don’t Dream It’s Over”, racconta la relazione tra José e Kitty, dalla loro conquista matrimoniale fino al matrimonio sempre più teso. Sebbene permetta a Bardem e Sevigny di mostrare tutto il loro talento, l’episodio aggiunge poco alla tensione o alla consistenza della serie nel suo complesso.
Una narrazione dispersiva
Gli episodi successivi sono altrettanto snervanti. Oltre alla famiglia Menendez, Murphy e Brennan introducono alcuni personaggi chiave orbitanti intorno ai fratelli e ai loro processi, come il reporter di Vanity Fair Dominick Dunne (Nathan Lane). Ossessionato dai dettagli del caso dopo la perdita della figlia, Dunne si impegna a far sì che Erik e Lyle vengano puniti, soprattutto nel tribunale dell’opinione pubblica.
Gli episodi 7, “Showtime”, e 9, “Hang Man”, reimmaginano gli omicidi di Kitty e José attraverso la prospettiva di Dominick. Egli narra anche come i fratelli navigano la vita in prigione, compresi i rapporti dentro e fuori le mura carcerarie. Nonostante Lane sia eccellente, il suo personaggio aggiunge poco alla storia complessiva.
Misure legali estenuanti
I fratelli affrontano due processi, che durano sette anni, e le scene in tribunale in “Monsters” sono stancanti e irritanti. Con il tono già così squilibrato, queste sequenze diventano un esercizio strano e senza fine, vantando numerosi testimoni, manovre legali e testimonianze.
Un contesto sociale complesso
Los Angeles alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90 era un luogo distintivo. Il pestaggio di Rodney King, le conseguenti rivolte, la pena di morte in California e persino l’arresto e l’assoluzione di O.J. Simpson sono tutti elementi che girano intorno al periodo di notorietà dei fratelli. Tuttavia, invece di infondere questi punti della trama in modo sottile, Murphy e Brennan insistono nel colpire in testa il pubblico con questi fatti. A un certo punto, persino Erik parla a Simpson dalla sua cella vicina, suggerendo all’ex giocatore di football accusato di accettare un patteggiamento.
Nonostante la materia avvincente e le eccellenti interpretazioni, “Monsters: The Lyle and Erik Menendez Story” sembra non sapere cosa vuole essere. Pertanto, si dissolve semplicemente in un racconto di abusi indicibili e crimini efferati. Tuttavia, il problema più grande è chi siamo e dove ci troviamo come società. Quando ci impegnamo a dare piattaforma a persone assassine e malate, non importa quanto orribili siano state le loro infanzie, sprofondiamo nelle nostre stesse mostruosità non controllate.
“Monsters: The Lyle and Erik Menendez Story” è ora disponibile in streaming su Netflix.
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