Dietro le quinte di “Saturday Night”: il caos prima del debutto storico
Quando ho sentito parlare la prima volta del film di Jason Reitman, “Saturday Night“, che si svolge nei 90 minuti precedenti il primo episodio del programma comico notturno nel 1975, ero piuttosto scettico. La premessa sembrava intrigante, un affascinante tuffo nel frenetico dietro le quinte di uno spettacolo, ma appariva difficile catturare l’essenza della nascita di uno show rivoluzionario in così poco tempo.
La genesi di un fenomeno televisivo
“Saturday Night Live”, inizialmente chiamato semplicemente “Saturday Night”, non è nato in una notte o in 90 minuti. Un intero universo di idee, pianificazione, casting e scrittura ha contribuito alla formazione di una nuova forma di commedia televisiva. A partire dal suo debutto l’11 ottobre 1975, il programma ha rappresentato una vera e propria rivoluzione culturale.
Un’analisi tecnica dei personaggi
Ora che il film è stato rilasciato (seppur limitatamente), posso dire che “Saturday Night“ è molto più interessante di quanto mi aspettassi. Parte del suo fascino risiede nel vedere i personaggi dello show trasformati in figure drammatiche, ognuno con i suoi tratti distintivi. Matt Wood, interpretando John Belushi, riesce a catturare perfettamente la figura anarchica e indisciplinata dell’attore comico. Dylan O’Brien rende giustizia a Dan Aykroyd, con il suo spirito cordiale e la sua verbosa conoscenza tecnologica. Kim Matula si avvicina molto alla raffinatezza sorridente di Jane Curtin.
Tuttavia, non tutte le rappresentazioni sono altrettanto efficaci. Cory Michael Smith cattura parte dell’acume di Chevy Chase, ma manca di quella leggerezza superficiale che caratterizzava il comico. Ella Hunt non riesce a restituire appieno la personalità forte di Gilda Radner. Anche la raffigurazione di Michael O’Donoghue, nonostante sia ben articolata, manca del tocco freddo e tagliente che caratterizzava l’autore.
Lorne Michaels: il cuore della rivoluzione
Un elemento su cui il film non delude è la rappresentazione di Lorne Michaels da parte di Gabriel LaBelle. LaBelle cattura la voce, l’aspetto e l’energia di Michaels, il produttore dietro lo show, che a 30 anni doveva gestire una moltitudine di sketch, attori e rappresentanti delle reti televisive. La sua capacità di mantenere tutto sotto controllo, anche se non aveva ancora una chiara visione di cosa il programma sarebbe diventato, è resa magistralmente nel film.
L’essenza di “Saturday Night”
Il film avrebbe potuto facilmente seguire la mia previsione iniziale, ovvero un docudrama meticoloso che spiegasse le origini di “Saturday Night” attraverso influenze come il National Lampoon e la cultura della controcultura degli anni ’70. Invece, Reitman decide saggiamente di lasciare che la vera natura dello spettacolo emerga tra le righe. Il vero tema non risiede nel caos della notte prima, bensì nella capacità del programma di portare l’aggressività dietro le quinte direttamente davanti alle telecamere. I Not Ready For Prime Time Players erano magici proprio perché mostravano esattamente chi erano, rompendo le convenzioni della commedia mainstream.
Un’iniezione di spirito ribelle
Una delle parti più accattivanti del film vede J.K. Simmons nei panni di Milton Berle, un’icona di un’epoca passata che tenta di mettere in ombra Chevy Chase. Questa dinamica evidenzia il contrasto tra la vecchia guardia della comicità e la nuova generazione. I nuovi talenti di “Saturday Night” ribaltarono la tradizione, iniettando un’energia ribelle e senza compromessi direttamente nel loro umorismo.
Un’eredità duratura
Il film riesce a catturare una verità fondamentale: “Saturday Night” non era solo uno spettacolo; rappresentava una rivoluzione nel modo di fare televisione e, forse, nel mondo stesso. Ciò che prima veniva represso dalla commedia mainstream ora veniva dissotterrato e presentato in diretta. Questa è la magia che il film riesce a trasmettere.
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