La giustizia dell’ombra: “Yana-Wara” tra tragico e mistico
Un racconto cinematografico immerso nella cultura Aymara
Quando nel 2017 il film “Wiñaypacha” (“Eternity”) diretto da Óscar Catacora venne rilasciato, portò alla ribalta il giovane regista peruviano. Questo film fu il primo lungometraggio completamente realizzato in lingua Aymara, portando una profonda esplorazione poetica di un mondo in cambiamento attraverso i paesaggi spettacolari e spesso inospiti delle Ande. Purtroppo, Catacora scomparve prematuramente nel 2021, mentre stava iniziando le riprese del suo secondo lavoro, “Yana-Wara”. Questo progetto venne poi completato dal suo produttore e zio, Tito Catacora. “Yana-Wara” Trailer si distingue per la sua trama intricata, radicata nella giustizia di una piccola comunità indigena, ma manca della stessa forza lirica che caratterizzava l’opera precedente del giovane regista.
Una gioventù spezzata: l’ombra della tragedia
Il film prende il nome dalla sua protagonista, una giovane orfana di nome Yana-Wara, trovata morta. Il quesito che il film solleva non è se suo nonno, Don Evaristo (interpretato da Cecilio Quispe Ch.), l’abbia uccisa, ma se tale gesto fosse giustificabile o punibile e in quale misura. La comunità indigena, rappresentata da un consiglio di leader, è chiamata a decidere sulla giustizia da applicare. Don Evaristo narra la tragica storia di sua nipote, dipingendo un quadro di sofferenza inevitabile che solo la sua mano ha potuto interrompere.
Da subito appare chiaro che Yana-Wara è stata perseguitata dalla sventura. La madre morì durante il parto e il padre poco dopo, lasciandola nelle mani del nonno, un uomo anziano e incerto su come prendersi cura di lei. Quando la lascia nella scuola locale sotto la supervisione del maestro Santiago (José D. Calisaya), le cose peggiorano. Santiago approfitta della sua posizione per abusare della giovane ragazza, un atto terribile che, sebbene rappresentato con tatto, lascia un impatto devastante sulla comunità e sulla protagonista.
Una giustizia complessa: il sistema indigeno alla prova
Il film rappresenta una immersione completa nel mondo degli Aymara, mescolando elementi realistici con il mistico. La narrazione di Don Evaristo trasforma la vita della nipote in una storia di male perpetrato tanto dagli uomini quanto dalla natura. Attraverso immagini esteticamente potenti, girate in bianco e nero da Catacora e Julio Gonzales F., il paesaggio andino diventa un perfetto sfondo per questa narrazione, spesso rasentando un’atmosfera da film horror.
L’Andean landscape, con le sue formazioni rocciose, montagne impettite e viste nebbiose, è rappresentato in modo da suggerire una presenza quasi aliena, piena di pericoli nascosti tanto nelle caverne quanto negli sguardi concupiscenti degli uomini. Don Evaristo insiste che Yana-Wara sia stata vittima di Anchanchu, una forza malvagia che porta con sé infinite tragedie. Tuttavia, è evidente che il male che affligge Yana-Wara proviene anche dagli uomini che dovrebbero proteggerla.
L’interprete silenziosa: tra realtà e finzione
Una delle sfide più grandi affrontate dal film è quella degli attori non professionisti, scelti per garantire autenticità alla narrazione. Sebbene Luz Diana Mamami offra una performance che mantiene la sua protagonista enigmaticamente distante, permettendo agli spettatori di proiettare le loro interpretazioni, il resto del cast offre interpretazioni spesso rigide.
L’attore José D. Calisaya, nel ruolo dell’abusante Santiago, non riesce a trasmettere pienamente la complessità del suo personaggio, un difetto che indebolisce il nucleo narrativo del film. Questa tensione negli attori ostacola la storia stessa, una favola morale su giustizia, agenzia, misericordia e destino – temi particolarmente rilevanti quando si parla di violenza di genere e delle scelte che gli uomini impongono sulle donne.
Uno sguardo mancato: tra sceneggiatura e realizzazione
Sorge spontaneo chiedersi come sarebbe stato “Yana-Wara” se il giovane Catacora avesse potuto completarlo. Il copione, pur sollevando questioni difficili e culturali, non riesce a tradurre queste complesse problematiche sullo schermo con la stessa potenza immaginata su carta. A ostacolare questa visione è anche l’incapacità degli attori di trasmettere pienamente la realtà emotiva dei loro personaggi.
Nonostante queste limitazioni, il film rimane una provocazione culturale e morale che invita a riflettere sulla giustizia e sull’umanità all’interno di contesti remoti e complessi. “Yana-Wara” ci offre un testo visivo e narrativo che, pur nella sua incompiutezza, riesce a mantenere un potente eco di denuncia e riflessione.