La fine di “Somebody Somewhere” e la riflessione di Bridget Everett
Bridget Everett sta elaborando la fine di “Somebody Somewhere,” la serie HBO liberamente ispirata alla sua vita, in modo assolutamente autentico. “Semplicemente non sono pronta,” dice riguardo ai ruoli futuri. “È come se avessi appena avuto il miglior sesso della tua vita e ora qualcuno vuole tenerti per mano.”
Una metafora audace per una carriera non convenzionale
Questa è proprio una delle metafore audaci che Everett potrebbe inserire nel suo spettacolo, un cabaret audace arricchito da imprecazioni e canzoni che trattano tematiche come il sesso orale. Questo stile poco convenzionale contrappone il carattere di Everett con quello del suo personaggio Sam, una donna introversa e riflessiva che ha passato tre stagioni a elaborare la morte di un caro familiare, trovando una comunità nella sua città natale in Kansas e gradualmente uscendo dal suo guscio.
Un percorso di crescita incredibile
All’incontro in un ristorante di Midtown Manhattan per discutere degli ultimi episodi della serie, Everett indossava una collana con l’acronimo “GAAO,” che sta per “crescita contro ogni probabilità” — il mantra guida di questa ultima stagione. “Sam cresce centimetro dopo centimetro,” dice Everett, il che, su scala umana come quella rappresentata in “Somebody Somewhere”, equivale a giganteschi passi avanti.
Una colonna sonora emozionante
La stagione finale presenta una composizione originale che rappresenta la prima canzone d’amore di Everett — e non è dedicata al suo cane, almeno. La scena in cui viene eseguita, una performance condivisa tra Everett e l’attore Tim Bagley, è estremamente commovente. Nonostante il budget e l’audience modesti della serie, i fan, incluso il pubblico dei prestigiosi Peabody Awards, piangeranno profondamente la sua scomparsa.
Evoluzione dei personaggi e dinamiche di gruppo
Alla discussione partecipa anche Mary Catherine Garrison, una lunga amica e ex coinquilina di Everett, che interpreta Trisha, la sorella di Sam. Trisha ha attraversato una crescita significativa durante la serie. Una scena ricorrente della terza stagione vede gli amici di Sam ordinare costantemente cibo extra “per il tavolo,” e nello stesso spirito, i tre presenti dividono delle patatine fritte per accompagnare le loro insalate. “Una delle cose che amo di questo spettacolo è che queste donne non hanno 25 anni, e stanno ancora apprendendo, crescendo e cambiando,” commenta Garrison.
Un’incisiva filosofia di produzione
Everett attribuisce a Carolyn Strauss, la produttrice esecutiva e ex presidente di HBO Entertainment, un’inestimabile guida per la sua prima esperienza da protagonista. “Carolyn è una leggenda per una ragione,” afferma Everett. “Ci tratta tutti come pari, ci sostiene, ma può ancora insegnarci tutti allo stesso tempo.” Una delle idee di Strauss è stata quella di evitare frasi come “cutie,” per non trasformare il termine in un tormentone da sit-com che avrebbe potuto soffocare la naturale chimica del cast. Questo approccio riflette la particolare filosofia della serie, che preferisce una commedia basata su rapporti autentici rispetto a battute strutturate convenzionalmente.
Il punto di vista creativo
Guidati dai creatori Hannah Bos e Paul Thureen, che hanno collaborato con Everett per costruire una serie intorno alla sua esperienza di perdita della sorella per via del cancro, “Somebody Somewhere” fa il suo impatto maggiore nei momenti più sottili. Uno dei più grandi momenti di crescita di Sam in questa stagione è un controllo medico di routine, e il climax emotivo del finale, che vede Sam cantare una versione di “The Climb” di Miley Cyrus, è semplicemente un personaggio che accetta un abbraccio da un altro.
Evoluzione e introspezione
L’incontro tra Sam e “Iceland” (Ólafur Darri Ólafsson), il nuovo inquilino della fattoria dei suoi genitori, è un esempio di connessione tentata più che di romanticismo tradizionale. “Non si tratta necessariamente di Sam che trova l’amore e si innamora,” afferma Everett, ma di mostrare che il personaggio sta cercando di crescere e superare le sue paure e sentimenti.
Un epilogo adeguato
Everett e gli sceneggiatori non sapevano che la terza stagione sarebbe stata l’ultima, ma anche se lo avessero saputo, non avrebbero progettato un finale più drammatico. “Penso che sarebbe stato un danno per lo spettacolo cercare di chiudere tutto,” spiega Everett. L’autenticità di “Somebody Somewhere” risiede nel non forzare troppo la comicità o il pathos, ma nel conquistare risate e lacrime in modo genuino.
Everett immagina dove le storie di Sam, Trish e Joel li porteranno in futuro, anche se non vuole rivelare i loro sviluppi nel caso in cui un giorno possa realizzare un film. “Amiamo questo mondo e ci rimarremmo dentro per il resto della nostra vita, ma questo non è necessariamente come funziona Hollywood,” dice ridendo. Nonostante la tristezza per la fine della serie, Everett resta grata ai sostenitori che hanno reso possibile il viaggio: “Solo HBO avrebbe dato a questo show tre stagioni, e ne siamo consapevoli.”
L’eredità di “Somebody Somewhere”
Il fatto che la serie esista, con tre stagioni, Everett lo definisce “una benedizione e un miracolo” — ammesso che Dio sorrida a un’innocente battuta sul poop.
Link utili
- Guarda il trailer di Somebody Somewhere