Alien: Romulus – un ritorno alle radici dello spazio terrorifico
Le voci su un nuovo capitolo della saga di Alien sono state accolte con sentimenti contrastanti. Alien: Romulus, la settima iterazione del franchise, ha il compito arduo di eguagliare l’impatto viscerale di Alien del 1979 e Aliens del 1986. Pur consapevole del bagaglio di aspettative che si porta dietro, Alien: Romulus riesce a sorprendere, offrendo un’esperienza che mescola nostalgia e tensione in maniera efficace.
La nostalgia è di casa
L’ambientazione di Alien: Romulus si inquadra temporalmente tra i primi due film della serie, utilizzando l’espediente narrativo di un’astronave in disuso come teatro delle vicende. La nave ricorda molto da vicino la Nostromo, non solo per l’aspetto ma anche per la sensazione claustrofobica e inquietante che riesce a trasmettere. Il nuovo capitolo introduce Rain Carradine (interpretata da Cailee Spaeny), una minatrice che, insieme a un gruppo di giovani ribelli, decide di sfuggire alla Jackson Star Mining Colony, una sorta di prigione corporativa senza luce del giorno.
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Un equipaggio disperato
Il piano dei protagonisti è ambizioso: raggiungere l’astronave abbandonata, riavviarla e scappare per un viaggio di nove anni in ibernazione. Le difficoltà aumentano quando si rendono conto che non solo il veicolo, ma anche i mostri che lo infestano, sono antiquati. Il regista Fede Álvarez utilizza una combinazione di effetti pratici per dare vita agli alieni, offrendo una sensazione di autenticità che attrae gli appassionati del genere.
Tra gli elementi distintivi della pellicola ci sono i face-huggers, creature iconiche che, nonostante gli anni, continuano a incutere terrore. In una delle prime sequenze, l’equipaggio attraversa una zona allagata dell’astronave, dove vengono attaccati da queste creature ormai familiari. Anche se l’impatto non è lo stesso degli episodi precedenti, la loro presenza riesce ancora a provocare un certo disagio.
Un cast impegnato
Oltre a Spaeny, il film vede la partecipazione di Aileen Wu nei panni di Navarro, una dei membri dell’equipaggio che subisce la classica e inquietante invasione aliena. Tuttavia, è la reintroduzione del personaggio di Rook, interpretato da una versione digitale di Ian Holm, a catturare maggiormente l’attenzione. La sua presenza rievoca momenti iconici del primo film, anche se con un aspetto più snello, come se avesse seguito una “dieta AI”.
Rain porta con sé un androide, Andy, un personaggio che aggiunge un tocco di leggerezza con le sue battute e il suo rapporto fraterno con la protagonista. Interpretato da David Jonsson, Andy rappresenta un elemento emotivo significativo, mancando persino più dei compagni di viaggio quando viene riprogrammato come servitore della compagnia.
Tensione palpabile
La tensione non manca in questo film, specialmente nel culmine, dove Rain affronta un esercito di alieni con una mitragliatrice in una zona a gravità zero. L’acido giallo che rimane sospeso nell’aria dopo lo scontro è una visione tanto spettacolare quanto spaventosa.
La fase finale del film include una sequenza di nascita che ricorda Prometheus, legando i vari capitoli della serie in un climax visualmente e narrativamente avvincente. Álvarez riesce a orchestrare uno scontro tra una donna sola e un alieno umanoide con grande maestria, creando una scena memorabile e tesa.
Riflettendo sulla serie
Alien: Romulus riesce a bilanciare nostalgia e innovazione. Pur non rivoluzionando il franchise, il film offre un viaggio che cattura l’attenzione dello spettatore, facendolo sprofondare in un oceano di terrore spaziale. La commistione di scenografie retrò, effetti pratici e una narrazione densa di suspense rendono questo capitolo un contributo meritevole alla saga.
Per gli appassionati del cinema horror e di fantascienza, Alien: Romulus rappresenta un ritorno alle origini, che nonostante il passare del tempo, mantiene intatto il suo potere di affascinare e terrorizzare.
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